L'Odisha di Revathi Kamath
- IndiaResponsabile

- 13 ott
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 15 ott
Revathi Kamath (1955-2020)
Mentre il mondo intero si confronta con le conseguenze sempre più tangibili del cambiamento climatico, l’eredità di Revathi Kamath brilla come un esempio di visione e rispetto per la terra. Architetta, sognatrice e pioniera della sostenibilità, ha saputo guardare alle radici per progettare il futuro.
Nel dibattito contemporaneo sull’abitare e sull’adattamento alle temperature estreme, si parla spesso di nuovi materiali, tecnologie all’avanguardia e isolamento termico. Eppure, molto prima che il clima diventasse una crisi globale, Revathi Kamath aveva già tracciato una strada alternativa: quella che parte dai bisogni reali delle persone e dai materiali che nascono dalla loro stessa terra. Una visione profonda, empatica e radicale, che pone al centro l’armonia tra architettura, natura e comunità.
Revathi è stata una delle prime architette indiane a rifiutare la logica della costruzione in serie per abbracciare quella del progetto come atto sociale. Ha lavorato per e con le comunità più marginalizzate, proponendo abitazioni semplici, dignitose, ecologiche e accessibili, dove la bellezza non era un lusso, ma un diritto.

Un'architetta nata tra le dighe e i sogni
Nata a Bhubaneswar nel 1955, Revathi cresce osservando da vicino le contraddizioni del progresso. Suo padre era un ingegnere civile impegnato nella costruzione della diga di Hirakud, una delle più grandi dell’India. Se da un lato l’opera risolveva il problema delle alluvioni lungo il fiume Mahanadi, dall’altro costrinse migliaia di persone ad abbandonare le proprie terre.
Quell’infanzia tra i cantieri e le comunità sfollate lascia un segno profondo.
Fin da piccola, Revathi sa che vuole diventare architetta — ma non per costruire grattacieli, bensì per restituire un senso di casa a chi l’ha perso.
Dopo la laurea in Architettura e una specializzazione in Pianificazione Urbana alla School of Planning and Architecture di Delhi, inizia a cercare un linguaggio architettonico che possa parlare la lingua delle persone, dei territori, delle tradizioni locali.
“Mentre studiavo architettura, mi rendevo conto che c’era troppo poco spazio per la coscienza indigena e la nostra storia. Così ho deciso di integrare fin da subito le espressioni contemporanee con le tecniche tradizionali.”— Revathi Kamath
Costruire con la terra, costruire con le persone
Il suo amore per il fango, la pietra grezza, il bambù e i materiali locali prende forma sin dal primo progetto: Anandgram, un insediamento per oltre 350 artisti e artigiani tradizionali. Qui, Revathi lavora a stretto contatto con gli abitanti per progettare insieme, e non per loro, cercando un equilibrio tra estetica, funzionalità e memoria collettiva.
In questo contesto nasce anche il concetto di “Evolving Home”, una casa che cresce nel tempo con le esigenze della famiglia. Revathi progetta non solo gli spazi, ma anche un’idea di abitare flessibile, partecipato e profondamente umano.
Con il suo studio fondato insieme al marito Vasant Kamath, porta avanti progetti che diventano simboli di una nuova architettura indiana: rispettosa dell’ambiente, sociale, inclusiva.
Le sue opere — dalla Akshay Pratishthan School a Delhi al Community Center nel Madhya Pradesh — vengono riconosciute anche a livello internazionale, ricevendo tre nomination per l’Aga Khan Award for Architecture.
Un’educatrice e una visionaria
Revathi non è stata solo un’architetta, ma una mentore generosa, pronta a condividere successi e difficoltà con le nuove generazioni.
Amava raccontare del periodo in cui costruì il Mandawa Desert Camp nel Rajasthan, una delle sue prime esperienze da giovane architetta, e della casa di terra ad Anangpur, in Haryana, costruita con il marito e diventata manifesto vivente del suo pensiero.
Credeva in un futuro in cui umanità e natura potessero tornare a camminare insieme. La sua visione di una “civiltà ecologica” oggi risuona più attuale che mai.

Scoprire l’Odisha: dove la spiritualità incontra la terra
La storia di Revathi Kamath ci offre l’occasione per guardare all’Odisha con occhi nuovi. Questo stato, affacciato sul Golfo del Bengala, è una terra di templi millenari, santuari naturali e mestieri antichi. Un luogo dove la cultura è ancora profondamente legata ai ritmi della natura.
Tempio del Sole di Konark
Qui l’architettura non è solo pietra, ma poesia scolpita. Il Tempio del Sole di Konark è una meraviglia unica: immaginato come il carro cosmico del dio Surya, è trainato da sette cavalli e poggia su 24 ruote gigantesche, ciascuna riccamente decorata. Ogni dettaglio celebra il tempo, la luce, il movimento.
Santuario di Bhitarkanika
Tra le più vaste foreste di mangrovie dell’India, Bhitarkanika è un paradiso per gli amanti della natura. Qui si trova la più grande concentrazione di coccodrilli marini del paese, oltre a stormi migratori di aironi che trasformano il cielo in un’opera d’arte vivente.
Artigianato e tessitura tradizionale
L’Odisha è una culla di sapienza artigianale: oggetti in ottone e argento, terracotta finemente modellata, applique di tessuti colorati. Ma è soprattutto la tessitura del tassar a distinguere questa regione: fili sottili di seta selvatica, intrecciati con una maestria che racconta generazioni di storia e pazienza.
Grotte di Udaygiri e Khandagiri
A Bhubaneswar, le colline gemelle di Udaygiri e Khandagiri custodiscono alcune delle più antiche architetture rupestri jainiste dell’India orientale. Un labirinto di 33 grotte scavate nella roccia, silenziose e profonde, dove arte e religione si fondono in un dialogo millenario con la pietra.
Un'eredità fatta di terra e visione
Revathi Kamath non ha lasciato solo edifici, ma una nuova etica del costruire, fondata sull’ascolto, sulla cura e sul radicamento. In un mondo che spesso cerca risposte nella tecnologia, la sua voce ci ricorda che le soluzioni più potenti nascono spesso da ciò che è già dentro di noi — nella terra che calpestiamo, nei mestieri dei nostri nonni, nei gesti delle nostre madri.
Visitare l’Odisha, sulle sue orme, è più che un viaggio: è un invito a riscoprire un modo di abitare più umano, più lento, più vero.






Commenti