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L'Himalaya di Tenzing Norgay

Aggiornamento: 15 ott

Tenzing Norgay (1914-1986)


Quando si racconta la storia della prima salita dell’Everest, è facile immaginare uomini temprati dal gelo, dalle tempeste e dalla fatica. Ma chi ha avuto la fortuna di incontrare Tenzing Norgay, nato Namgyal Wangdi, lo ricorda soprattutto per il suo sorriso aperto, caldo, inaspettatamente disarmante.


Lo chiamano la Tigre delle Nevi,” scrisse un giornalista indiano di Darjeeling nel 1958, “ma io lo definirei il Cavaliere che ride.”

Quel sorriso raccontava molto più della vetta raggiunta: parlava di coraggio, di fede, e di una profonda umanità.


Nel 1953, insieme all’alpinista neozelandese Edmund Hillary, Tenzing fu il primo a toccare la cima del monte EverestChomolungma — il nome tibetano e sherpa della montagna, che significa “Madre dell’Universo”.

Ma al di là del traguardo, la figura di Tenzing è diventata simbolo di qualcosa di più grande: l’equilibrio perfetto tra forza fisica e grazia spirituale, tra il sogno individuale e l’impresa collettiva.


Tenzing Norgay sorridente

Un’infanzia tra le nevi e i sogni

La vita di Tenzing comincia in maniera incerta, in un piccolo villaggio himalayano nel Solo Khumbu, oggi nel Nepal orientale.

Non esiste un certificato di nascita, ma Tenzing ricordava di essere venuto al mondo in un giorno di fine maggio del 1915, leggendo il tempo e le stagioni come fanno i montanari.

Il suo primo nome fu Namgyal Wangdi, ma venne rinominato Tenzing Norgay – che significa “fortunato, ricco, seguace della religione” – su suggerimento del lama fondatore del Monastero di Rongbuk, Ngawang Tenzin Norbu.

Fin da piccolo dimostrò uno spirito ribelle: fuggì di casa due volte, guidato da un senso di ricerca che nessuno intorno a lui riusciva a spiegare. Lo trovò, anni dopo, nel quartiere Too Song Busti di Darjeeling, tra i Sherpa migrati in India. Aveva 19 anni.


Un lungo cammino verso la vetta

La vetta dell’Everest non fu un colpo di fortuna.

Prima del successo del 1953, Tenzing partecipò a nove spedizioni, in ruoli sempre più importanti. Da semplice portatore d’alta quota a Sirdar, il capo Sherpa, fu protagonista di una delle più intense e impegnative esplorazioni montane del XX secolo.


La spedizione del 1953 non fu solo la più celebre, ma anche quella più simbolica: tutti gli 8.848 metri dell'Everest venivano scalati per la prima volta, e tra i protagonisti c’era un uomo che, nonostante la fama crescente, rimase legato alla terra e alla sua gente.


Quando raggiunse la cima, Tenzing non piantò una bandiera personale, ma offrì al vento preghiere, simboli delle nazioni coinvolte — India, Nepal, Regno Unito e Nazioni Unite — e una fila di bandiere di preghiera buddhiste, le lung-ta.

“Come nella Ruota della Vita buddista, anche la mia vita aveva compiuto il suo grande giro. Ero tornato all’Everest, al Chomolungma, là dove tutto era cominciato — con i sogni di un ragazzo che guardava le montagne pascolando yak. Solo che ora il sogno si era realizzato.”— Tenzing Norgay

Un eroe umile e silenzioso

Dopo la scalata, Tenzing non cercò mai di capitalizzare la sua fama.

Tornato a Darjeeling, visse con semplicità. Trasformò il suo appartamento in un piccolo museo privato, aperto a tutti, dove chiunque poteva vedere da vicino i suoi attrezzi, le fotografie, i trofei, e ascoltare i suoi racconti.


Non chiese mai compensi: ogni donazione veniva devoluta alla comunità Sherpa.

Nel suo sguardo e nei suoi gesti si leggeva una verità più grande: la montagna non si conquista, si rispetta.


Per lui, l’Everest non fu mai una vetrina mediatica o una gara tra nazioni, ma un lungo pellegrinaggio sacro.


L’eredità di un popolo di montagna

Con la stessa dedizione con cui aveva scalato l’Everest, Tenzing si impegnò per dare voce e dignità agli Sherpa, spesso invisibili dietro le imprese altrui. Fu nominato primo Direttore del Training sul campo dell’Himalayan Mountaineering Institute di Darjeeling, fondato nel 1954. Qui formò centinaia di giovani, trasmettendo non solo tecniche ma una filosofia: l’alpinismo come scuola di vita.


Le sue battaglie furono concrete: migliori condizioni di lavoro, visibilità internazionale, giusti compensi per chi, generazione dopo generazione, aveva trasformato la conoscenza delle montagne in arte e sopravvivenza.


La sua figura fu celebrata ovunque: la George Medal britannica, il Padma Bhushan indiano, l’Ordine della Stella del Nepal, e persino il titolo sovietico di Merited Master of Sport.

Ma la vera grandezza di Tensing resta umana, non istituzionale.


Edmund Hillary e Tenzing Norgay durante la spedizione  all'Everest nel 1953

Camminando tra le vette dell’Himalaya

Per chi desidera assaporare almeno un frammento del mondo che fu di Tenzing, il trekking di Tonglu–Tumling offre un’esperienza accessibile e straordinaria. Il sentiero attraversa foreste di rododendri, piccoli villaggi sospesi nel tempo, panorami mozzafiato. Nei giorni limpidi, si possono scorgere il Kanchenjunga e, con un po’ di fortuna, l’Everest stesso all’orizzonte.

Un’altra tappa imprescindibile è il Monastero di Rumtek, in Sikkim. Un gioiello di architettura tibetana, immerso tra risaie e colline, è oggi la sede del lignaggio Kargyu del buddhismo Vajrayana. Le sue sale raccolgono alcune delle più rare opere d’arte religiosa del mondo, in un silenzio che invita alla meditazione.


Sulle orme del Cavaliere che ride

Chi visita l'Himalaya non può perdersi il Museo del Mountaineering Institute a Darjeeling, dove è conservata la memoria viva di Tenzing.

Arrivarci a bordo del Toy Train, lo storico trenino a vapore, è già di per sé un viaggio nell’immaginario coloniale e montano dell’India.

E poi c’è Darjeeling stessa: con i suoi mercati profumati, i momos fumanti venduti per strada, le bandiere di preghiera che sventolano tra tetti inclinati, e una spiritualità sottile che si respira nei templi, stupa e monasteri. Ogni passo sulle sue strade sembra un piccolo tributo a chi, come Tenzing, ha camminato con il cuore rivolto verso l’alto.

Se il viaggio lo consente, spingersi fino in Nepal è come attraversare una porta: verso nuovi paesaggi, verso un altro ritmo di vita. Tra i villaggi di montagna, le terrazze coltivate e le onnipresenti vette innevate, si ritrova quel legame profondo con la terra e con il cielo che Tenzing ha saputo incarnare — con il corpo, e con l’anima.


villaggio himalayano con torrente che scorre e montagne innvate sullo sfondo

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