Il Gujarat dei Rabari
- IndiaResponsabile

- 15 ott
- Tempo di lettura: 3 min
Se osservi il Gujarat (nord-ovest dell'India) su una mappa, noterai che il colore della terra sbiadisce nel bianco: è il deserto del Kutch (o Rann of Kutch), un paesaggio salato, duro, essenziale.
Qui, tra dune mobili e villaggi sparsi, camminano da secoli i Rabari, pastori nomadi che hanno fatto della migrazione un modo di abitare il mondo.
Non hanno confini, ma direzioni. Non possiedono la terra, ma la conoscono. E la rispettano come si rispetta un parente anziano: con silenzio, cura e gratitudine.

Un popolo nato dal mito
Secondo la leggenda, la prima Rabari fu creata dalla dea Parvati, che, per combattere la solitudine, modellò un cammello con il suo stesso corpo. Shiva gli diede vita, e creò Sambad, il primo Rabari, per prendersene cura.
Così nacque una stirpe di pastori sacri, custodi del cammello e della terra.
Da allora, i Rabari si sono mossi lungo l’arco dell’India nord-occidentale, dal Punjab al Rajasthan, fino al Gujarat, dove oggi abitano il Kutch, una terra dove l’acqua arriva e scompare, e la vita si reinventa a ogni stagione.
Vita nobile, cuore stabile
Tradizionalmente dediti alla pastorizia di cammelli, capre, pecore e bovini, i Rabari vivono seguendo i ritmi del bestiame e della natura.
Le loro dimore temporanee sono i celebri “bhunga”, capanne circolari costruite con argilla, legno e paglia, capaci di resistere perfino ai terremoti.
La loro architettura è antica, ma intelligente. E racconta molto di più: racconta un modo di vivere dove ogni cosa si adatta, senza forzature.
Dove non si costruisce contro il paesaggio, ma insieme ad esso.
Ricamare la memoria
Nel silenzio delle pianure salate, le donne Rabari raccontano storie con ago e filo. I loro ricami, ricchi di specchi, catene di punti e colori intensi, non seguono disegni. Nascono dalla memoria e dalla visione del mondo: animali, alberi, geometrie sacre.
Ogni ricamo è un gesto di libertà, fatto con pochi strumenti e molta maestria.
L’arte delle Rabari è viva nei villaggi, nei mercati di Bhuj, e oggi anche nel mondo, grazie a donne come Pabiben Rabari, prima artigiana della sua comunità a fondare un collettivo di donne per proteggere e innovare la tradizione.
“Non stiamo abbandonando la tradizione. La stiamo facendo evolvere.”— Pabiben Rabari, Karigar Clinic
Tra cambiamento e resistenza
Come molte culture indigene, anche i Rabari si trovano oggi sospesi tra passato e futuro. I più giovani lasciano la pastorizia, attratti da città e lavori stabili.
Ma il mondo moderno non riconosce ancora il valore del sapere Rabari, basato sull’esperienza, l’osservazione e la relazione con gli animali.
Eppure, molte organizzazioni stanno cercando di colmare il divario.
Progetti come Kala Raksha e Shrujan lavorano per valorizzare l’artigianato, formare le donne, e rendere visibile una cultura altrimenti invisibile.

Scoprire il Kutch: dove il silenzio è sacro
Il nome Kutch significa “ciò che si inonda e si prosciuga”. Una terra che cambia volto con le stagioni, dove la luce trasforma il sale in neve, e il deserto sembra danzare.
Celebrarsi nel bianco: il Rann Utsav
Da novembre a marzo, durante le notti di luna piena, il deserto salato del Kutch si accende di colori e suoni con il Rann Utsav, il grande festival che celebra la cultura locale. Tra musica tradizionale, danze e artigianato, si scopre un Gujarat che è anima, festa e silenzio.
Camminare nella storia: Patan e Dholavira
A pochi chilometri dal Kutch si trovano Patan, antica città dei re Solanki famosa per i suoi templi, e Dholavira, una delle città più straordinarie della Civiltà della Valle dell’Indo. Tra rovine millenarie e ingegneria urbana avanzata, qui la storia affiora dalla sabbia.
Immergersi nei mestieri: Bhujodi e Rogan Art
Nei villaggi intorno a Bhuj, come Bhujodi, si pratica ancora l’arte del Rogan painting, una tecnica pittorica antichissima, tramandata solo da poche famiglie musulmane. Qui convivono tessitori, tintori, ricamatori, ognuno custode di un sapere antico, radicato nella terra.
Salire al cielo: i templi di Palitana
Sulla collina di Shatrunjaya, più di 900 templi Jain sfidano la gravità e il tempo. Costruiti tra l’XI e il XIX secolo, sono tra i luoghi di pellegrinaggio più sacri dell’India. Salirvi a piedi è un atto di fede — o forse, di bellezza.
Un cammino che lascia tracce leggere
I Rabari non hanno monumenti né città. Ma camminano da secoli lasciando tracce invisibili e profonde: nelle storie, nei ricami, nei gesti quotidiani di cura verso la terra e gli animali.






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